Lisa La Pietra, giovane talento abruzzese, soprano nonché studiosa di musica e arti performative, è laureata in Architettura di Scena Teatrale all’Accademia di Belle Arti di Venezia e in Scenografia Cinema e Tv all’Accademia di Belle Arti di Brera, oltre ad aver conseguito la Laurea Magistrale in Musicologia all’Interateneo Università di Padova e Università Ca’ Foscari. Ha inoltre studiato Canto Lirico al Conservatorio di musica di Venezia e ha ideato il primo duo per soprano e clarinetto.
Lisa ci ha raccontato della sua esperienza e dei suoi progetti futuri.
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Lisa, com’è nata la sua passione per il canto?
«Più che per il canto, la mia è una passione che abbraccia un po’ tutta la musica. Infatti, dico sempre che ho un cuore da cantante lirica e un’anima da musicologa. Mio padre, che ha coltivato la passione per la musica da quando era ragazzo, vedendomi portata per quest’arte, decise di mandarmi a lezione di pianoforte sin da piccolina, acquistando un bellissimo strumento che ancora oggi rappresenta un luogo di culto per me. Ogni volta che ho bisogno di riflettere o risolvere qualcosa mi siedo lì e trovo di sicuro una soluzione. Per quanto possa sembrare poetico come inizio, in realtà non sono stata mai indirizzata bene nello studio della musica e perciò ho maturato varie fasi di rottura senza, tuttavia, mollare. A 16 anni, mentre frequentavo il liceo artistico a Pescara, decisi di studiare finalmente musica classica, ma era tardi per prendere in mano quel famoso “violino che si suona da seduta” (ossia il violoncello) come lo definivo da piccola, ragion per cui iniziai a studiare canto, avendo l’età giusta. Da quel momento è iniziato il mio percorso: il conservatorio, le esperienze di studio e ricerca, gli incontri, sino al palcoscenico che è il miglior maestro. Il primo debutto è stato con una compagnia di commedia dell’arte a Venezia, in uno spettacolo che si intitola “Ceneraccio” e poi “Il mondo della luna” per la regia di Gabris Ferrari. Ho inoltre preso parte a progetti della Residenza Pul con la Compagnia Band à Part di Milano e al Festival di teatro “Asti32”, finché non ho incontrato il mondo della musica contemporanea che mi ha letteralmente conquistato: attraverso di essa, infatti, riesco a far incontrare la ricerca con la tradizione e ciò è necessario per il mio percorso, per la mia indole nonché per la mia formazione. Mi sento centrata».
Si esibisce in coppia con la clarinettista Alessia Gloder, com’è nato il vostro duo?
«Il duo nasce principalmente per 2 motivi: il primo è dovuto al fatto che, venendo da un primo approccio con la commedia dell’arte ho conservato l’idea del “tutto in scatola” come si suol dire a teatro, ovvero di un prodotto che possa spostarsi facilmente, velocemente e senza troppi ingombri. La seconda ragione è che desideravo da tempo accostare due strumenti solistici per poter affrontare il repertorio della musica da camera filtrando attraverso un tipo di esperienza diversa da quella tipica dell’esecuzione per voce e pianoforte, come da partitura. Mi sono sempre interessata alla ricerca del suono nello spazio e perciò avevo bisogno di qualcosa di mai sviscerato prima nella storia, o quasi mai, in modo da non essere influenzata e creare un’imitazione neanche per sbaglio. Tra l’altro, del clarinetto mi sono innamorata due anni fa quando sentii suonare per la prima volta Michele Marelli e fu in quel momento che decisi che di lì a breve avrei costituito questo duo. Ho aspettato di incontrare la persona giusta e quando ho conosciuto Alessia Gloder ho avuto finalmente chiaro ciò che desideravo fare: il primo debutto è avvenuto di lì a poco.
Da quel momento non ci siamo più fermate e in sei mesi è accaduto l’improbabile. L’esecuzione del 16 giugno presso le Sale Apollinee del Teatro la Fenice è stata per noi un’occasione indescrivibile».
Qualche settimana fa vi siete esibite a Venezia, al Telecom Future Center. Com’è stata questa esperienza?
«Prima di portare in scena Argia al Telecom Future Centre il 30 settembre, avevamo avuto esperienze di esecuzione in forma di concerto tradizionale in alcuni casi e in forma di concerto spazializzato in altri.
Argia è stata una sfida senza eguali perché ci siamo prefissate l’obiettivo di dar voce a nove fotografie a cui abbiamo attribuito un brano di repertorio (attingendo dalla letteratura musicale senza limiti temporali né stilistici) trascritto per il nostro duo, in modo da sviluppare un concerto che narrasse le fasi di vita a noi comuni per esperienza diretta o di riflesso da chi ci sta accanto: la nascita, la purezza, l’elegia, l’incesto, la leggiadria, la consapevolezza, la risolutezza, il delirio di follia e infine la catarsi. Oltre alla sfida tematica, c’era da lavorare su un palcoscenico a pianta centrale e il lavoro musicale era complicato da elementi di regia che sono stati aggiunti all’esecuzione. Fare opera in due in uno spazio così grande e con un repertorio così difficile non è stato semplice, ma superare il limite di ciò che è possibile per me è il presupposto di base di chi fa ricerca in musica».
A Venezia ha presentato la sua opera Argia, di cui è autrice. A cosa si è ispirata per delineare questo personaggio?
«Penso che ognuno di noi nella vita quotidiana, alla quale si deve rispondere con un certo rigore e riconoscibilità da parte della società in cui viviamo, rischi di “essere ciò che fa” e non “ciò che è” e per questo motivo ho lavorato molto sull’incontro col mio subconscio, andando a ricercare consapevolezze, paure, gioie e ossessioni per poi metterle sullo stesso piano senza giudizio. A quel punto ho sviluppato un processo di personificazione e il soggetto che ne è derivato somigliava molto a una zia di papà che mi ha lasciato un’impronta molto forte, pur essendo mancata quando avevo solo 8 anni. Per questo motivo le ho dato il suo nome spirituale, essendo stata lei una suora ed era proprio Argia, che vuol dire Illuminata. Ho svolto un lavoro di ricerca fra le opere di autori che si erano occupati di figure femminili come Goethe e Morike, estrapolandone un brano per ogni momento che volevo raccontare attraverso l’esecuzione degli autori che nei secoli le avevano musicate come Schubert e Wolf.
Il mio obiettivo era dichiarare che qualunque sia la condizione in cui ci si trovi, che sia bella o brutta, a tutto c’è una soluzione ed è per questo che come fase conclusiva ho scelto la catarsi e non la morte, anche se le due cose coincidono.
In corrispondenza di questo punto poetico ho scelto di eseguire per voce sola “Gli altri non muoiono mai” che Gabriele Cosmi ha scritto per la mia voce quando è mancato mio padre e che per me rappresenta un vero e proprio ponte di collegamento da qui all’aldilà, oltre che un gran brano musicale. In questa occasione, lo stesso compositore ha scritto per me e Alessia Gloder un brano che si intitola Argia per voce e clarinetto, col quale abbiamo aperto lo spettacolo in prima esecuzione assoluta».
Il prossimo impegno sarà il 15 ottobre in Casa Abruzzo, per Expo Milano. Come si
svolgerà l’evento?
«Si tratta di un concerto spazializzato, dedicato a F. P. Tosti e si intitola Rendering Picture.
Rendering nasce prima come programma radiofonico in onda su Radio Ca’ Foscari a Venezia, poi diviene Rendering Festival a Lanciano dal 22 agosto al 5 settembre 2015 e ora si incarna in Rendering Picture che prevede un’esecuzione di concerti simile alla realizzazione di quadri.
In questa occasione, metteremo a fuoco un autore come in un quadro monografico, grazie all’accostamento dei nostri due strumenti solistici e al concatenarsi di autori che attraverso il confronto, ne evidenzino le singolarità; in questa maniera è possibile presentare i compositori da una prospettiva nuova, che è ciò che ci interessa.
Di F. P. Tosti eseguiremo quattro romanze intervallate da quattro altri autori: W. A. Mozart, F. Schubert, H. Wolf e G. Cosmi, ognuno appartenente a un secolo di distanza l’uno dall’altro, per mostrare in maniera trasversale le peculiarità del repertorio tostiano dal punto di vista stilistico, geografico e temporale.
L’intreccio dei quattro brani di Tosti con quelli degli altri autori sarà valorizzato ulteriormente dalla sfida che il duo si prefigge, riproponendo il repertorio secondo trascrizioni per voce e clarinetto e non per pianoforte e soprano come dalle partiture originali».
3 pregi e 3 difetti di Lisa La Pietra?
«Partiamo con i difetti: il primo è che credo di avere una sensibilità che talvolta mi si ritorce contro e rischio di trasformarmi nella peggior nemica di me stessa; il secondo è che non mangio la carne e per fare questo mestiere sarebbe bene nutrirsene per essere sempre al meglio della prestanza fisica, mentre io ogni tanto ho qualche cedimento e il terzo è che amo lo shopping come poche altre cose al mondo.
Per quanto riguarda i pregi, credo di avere una certa capacità di aggregazione perché amo fare le cose come si deve, ci tengo a farle per me e coinvolgo sempre gli amici e le persone in cui credo. Un secondo pregio è che per mia fortuna non nutro né gelosie né invidie verso amici e colleghi e questo mi permette di essere mediamente più serena di altre persone e di stringere legami più fruttuosi, senza trascurare la qualità dei rapporti umani che vanto incondizionatamente e che sono la mia forza ogni giorno. Il terzo è la curiosità perché mi dà lo slancio per rialzarmi ogni volta che cado o che mi scaraventano a terra, mi mette nella condizione di non fermarmi neanche quando le mie forze scarseggiano».
Progetti futuri?
«Nell’immediato sto lavorando alla pubblicazione del volume che raccoglie gli atti dei tre convegni che ho moderato nella residenza artistica e di ricerca che dirigo, ossia “Abitare la Musica: Cantare l’Architettura” per Solfanelli Editore. Inoltre ho in programma tanta musica sia in duo con Alessia Gloder sia con Giulia Vazzoler (pianista), ma anche con diversi compositori, enti e progetti importanti. Spero di continuare il mio percorso sia da solista sia in produzioni collettive. Amo tutti i risvolti della cultura e desidero scoprire il mondo degli altri. E…che altro dire, incrociamo le dita e buona musica a tutti!».