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D’Annunzio critico d’arte

In quanto protagonista del cosiddetto Estetismo, e dunque della più generale estetica decadentista del tardo Ottocento, Gabriele d’Annunzio non poteva che provare un interesse, costante e ribadito, per le arti figurative; di conseguenza la sua penna si è sovente dilettata nell’esercizio della critica d’arte, quell’ambito letterario che in Francia, a opera soprattutto di Charles Baudelaire (grande poeta, e non meno grande critico d’arte), aveva visto l’incontro fruttuoso tra l’ispirazione poetica e le suggestioni coloristiche dei quadri – scultura e architettura furono praticamente estranee a questo incontro.
Certo, la critica d’arte di d’Annunzio non è la cosa più importante del suo vasto corpus letterario, né ha l’importanza della critica di un Baudelaire o anche di un Laforgue: ma, inutile dirlo, è interessante conoscere le opinioni storico artistiche di quello che rimane uno dei più grandi scrittori della modernità. Ecco perché non si può che esser grati ad Abscondita, casa editrice specializzata in pubblicazioni di Storia dell’arte, per aver riportato alla luce, nel 2012, i Pensieri sull’arte del poeta pescarese, in un libro ottimamente curato da Pietro Gibellini e Stefano Fugazza.

La prima cosa che colpisce, se ripensiamo al confronto con la critica d’arte dei poeti francesi, è che, diversamente da loro, d’Annunzio non si interessa esclusivamente agli artisti contemporanei: Giorgione e la critica, del 1894, è infatti uno dei saggi più lunghi e significativi raccolti nel libro.
Un testo, questo, estremamente rivelatore dell’idealismo estetizzante che informa la più ampia concezione artistica di D’Annunzio nel momento della trilogia dei romanzi della Rosa. Per D’Annunzio l’artista è un’entità al di fuori della storia e dei dati biografici («un semidio in una nuvola ignea»), un demiurgo che nell’opera d’arte depura la realtà dalle scorie della quotidianità: la realtà sociale dell’artista, le sue tecniche, i rapporti che lo legarono agli artisti a lui precedenti e successivi (nel caso di Giorgione, si pensi tra gli altri a Giovanni Bellini e al giovane Tiziano), i dati iconografici e contenutistici e, insomma, tutti i fattori che fanno la concretezza della storia dell’arte, a D’Annunzio non interessano.
Di tutti i temi della Storia dell’arte in quanto disciplina scientifica, il poeta salva solo lo stile: ma, ancora una volta, lo stile perde tutta la sua concretezza terrena per diventare una realtà idealizzata e sovrastorica, la cui indagine è affidata non alla serietà dell’indagine critica, ma alle raffinatezze verbali e immaginifiche del poeta. Ecco allora che, per D’Annunzio, «la critica non può trasformarsi in scienza»; e ancora: «Rinunciamo una buona volta alla certezza! Questo amore di verità, questo desiderio sfrenato dell’assoluta verità è non soltanto puerile ma anche inverecondo». La critica, allora, è solo arte, soltanto buona prosa; il critico non è uno storico o uno studioso, ma semplicemente un artista in grado di comunicare le impressioni soggettive che il dato dipinto gli procura: in questo senso, allora, perfino l’opera d’arte diventa, nella prosa del critico-poeta dannunziano, un mero pretesto.

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Inutile dire che tutto ciò pone D’Annunzio fuori dalla critica d’arte più avvertita di quel tempo, che anche in Italia tentava di fondare una nuova, rigorosa disciplina: la Storia dell’arte modernamente intesa – si pensi, giusto per fare un nome, al grande Adolfo Venturi.
La critica d’arte di D’Annunzio, ammettiamolo, ci interessa quasi esclusivamente perché è scritta da D’Annunzio: presa in sé stessa, è una cosa fortunatamente sorpassata da almeno un secolo.

Ma non bisogna essere troppo cattivi col nostro poeta: da figlio del suo tempo e della sua cultura, le sue posizioni estetizzanti non devono, non possono scandalizzarci più di tanto – alcune sue conclusioni, per esempio, ricordano da vicino le prescrizioni con cui Oscar Wilde apre il suo Ritratto di Dorian Gray. E quanto D’Annunzio fosse figlio del suo tempo, lo si vede anche a proposito delle sue preferenze in materia d’arte contemporanea: Segantini, Rops, Böcklin, insomma alcuni dei pittori più legati alla temperie simbolista, quell’essenziale snodo della cultura decadentista a cui D’Annunzio decisamente prese parte.
Tutto ciò senza dimenticare il rapporto di amicizia fraterna con Francesco Paolo Michetti, forse il più grande pittore abruzzese del periodo, su cui avremo modo di tornare.

Mario Cobuzzi

 

Arte e Parte è una rubrica di storia dell’arte abruzzese antica e contemporanea curata da Mario Cobuzzi (Kunst. Appunti di storia dell’arte) e Marco Pacella, (Twitter: @marco_pacella)

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