Tracciare l’origine del gioco delle carte non è un’impresa affatto semplice.
Numerosi storici si sono cimentati nel ricercare date e collocazioni geografiche dei primi mazzi prodotti dalle antiche civiltà tracciando un percorso che dalla Cina arriverebbe in Medio Oriente. Pare infatti che le prime testimonianze di carte si sarebbero diffuse nel Paese del Dragone intorno al 1120, all’epoca della dinastia Song e successivamente, in virtù dei contatti commerciali con i mercanti arabi, siano arrivate nel mondo musulmano seguendo la via della seta.
Probabilmente i primi tra i popoli europei a venire in contatto con questo passatempo furono gli spagnoli. in virtù dei rapporti di odio e amore/guerra e scambi con i vicini sultanati e califfati di al-Andalus.
Le crociate favorirono invece l’ingresso di questo gioco nel resto d’Europa e anche in Italia.
Sembra infatti che alcuni guerrieri e pellegrini di ritorno dalla Terra Santa nelle loro bisacce cariche di bottini e reliquie riportassero anche alcuni preziosi mazzi di naibi (così erano conosciute le carte da gioco arabe nel corso del medioevo).
Presto questo gioco venne così adottato dalle corti italiane che fecero produrre mazzi raffinatissimi dagli artisti dell’epoca mentre a Milano, sotto l’egida dei Visconti, si svilupparono le carte dei Triumphi, un passatempo nobiliare precursore dei Tarocchi che divenne molto popolare anche nel resto d’Europa.
Nel frattempo anche a livello popolare le carte da gioco divennero uno degli intrattenimenti più in voga e iniziarono a diffondersi varianti locali, dalle piacentine alle siciliane passando per le napoletane e le milanesi.
Mentre la storia ha tramandato numerosi mazzi di carte dalla foggia e dai disegni particolari, quelli abruzzesi in particolare presentano alcune caratteristiche simboliche che raccontano interessanti sfaccettature della tradizione e del folklore regionale.
Nel microcosmo delle carte italiane quelle abruzzesi risultano essere le più recenti, prodotte nel natale del 2011 per volere del comitato “Mostre ceramiche antiche e moderne” presieduto dall’onorevole Antonio Tancredi.
Questo mazzo riesce in qualche maniera a riempire una “lacuna territoriale” secolare visto che l’Abruzzo fino agli anni più recenti ha subito l’influenza della Campania e in particolare di Napoli dove da secoli era attiva una tradizioni di abilissimi artigiani cartai.
Le carte abruzzesi commercializzate dalla Del Negro nel 2013 presentano gli stessi semi delle napoletane (bastoni, coppe, denari e spade) ma con alcune varianti significative. L’incisore Leonello Recchia dell’istituto Poligrafico Zecca dello Stato è la mano che ha creato i disegni delle nuove abruzzesi con il seme di bastoni che è un tributo alla città di Pescara.
L’asso di bastoni simbolicamente legato alla forza creativa, al vigore, al coraggio e alla tenacia riporta il motto latino “Audere semper” (“osare sempre”) un omaggio a Gabriele d’Annunzio, il poeta pescarese dell’impresa di Fiume, inventore della frase dei MAS, i motoscafi anti sommergibile protagonisti della beffa di Buccari e di altri episodi dell’irredentismo fiumano.
Le coppe sono invece dedicate a Teramo. La città è infatti nota nel mondo per la ceramica di Castelli. L’asso di questo seme presenta uno dei paesaggi tipici dell’arte maiolicara, mentre sul quattro di coppe è possibile leggere la frase “A lo parlare agi mesura” dalla famose lapide teramana delle “male lingue” che ricorda la lotta tra le fazioni teramane dei Melatino e dei de Valle.
La città dell’Aquila è invece legata al seme dei denari. Sull’asso di questo seme campeggia lo stemma federiciano del capoluogo di regione “immota manet” (“rimane immobile”), un riferimento all’innata forza di volontà degli aquilani capaci di rialzarsi e ricostruire la città falcidiata dai terremoti lungo l’arco dei secoli. La stessa carta presenta l’aquila imperiale incoronata che tiene stretta con gli artigli la “Bolla d’oro” dell’imperatore Federico II, immortalato a sua volta anche nel re di denari, un tributo al regnante che favorì gli aquilani nella loro lotta anti-feudale.
Le spade sono invece legate a Chieti. La lama raffigurata nell’asso del seme è un tributo all’arma che si trova cinta sul petto del Guerriero di Capestrano, una celebre scultura del VI secolo a.C. oggi conservata nel Museo Archeologico di Chieti. Il motto che accompagna la spada è “Ferrum est quod amat” (“è il ferro che ama”) altra citazione dannunziana che ricorda la frase pronunciata dal Vate in occasione della consegna del prezioso pugnale votivo che le donne fiumane vollero regalare al fautore della riconquista della città nel Gennaio del 1920.
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