“Tutti i medici che hanno collaborato e si sono avvicendati nei primi soccorsi a Morosini erano tenuti all’uso del defibrillatore”. In sostanza è questo uno dei passaggi più rilevanti delle motivazioni della sentenza di condanna del medico 118 Vito Molfese (1 anno), del medico sociale del Livorno Manlio Porcellini e del medico del Pescara Ernesto Sabatini (8 mesi ciascuno) per la morte del calciatore del Livorno Pieramario Morosini.
I fatti risalgono al 14 aprile del 2012 quando Morosini perse la vita in seguito a un malore durante l’incontro di calcio tra il Pescara e i toscani allo stadio Adriatico-Cornacchia. In sostanza per il giudice Laura D’Arcangelo la morte del giovane calciatore si sarebbe potuta evitare.
Secondo il giudice monocratico del Tribunale di Pescara, «Porcellini, Sabatini e Molfese, intervenuti in soccorso di Morosini nei primi minuti dopo il malore, avrebbero dovuto, una volta effettuate le manovre prodromiche, procedere alla defibrillazione».
La sentenza attribuisce le cause del decesso alla «fibrillazione ventricolare indotta dalla cardiopatia aritmogena da cui era affetto e dallo sforzo fisico intenso». La D’Arcangelo evidenzia inoltre che «poiché la funzione e l’uso del defibrilatore, come efficacemente osservato dai periti, costituiscono elementi del patrimonio professionale di ogni medico-chirurgo, anche in carenza di specializzazioni, non c’è dubbio che ognuno degli imputati avrebbe dovuto, constatati i sintomi, verificare, se ce ne fosse stato bisogno, la disponibilità di un defibrillatore».
Defibrillatore che tra l’altro era a disposizione sul terreno di gioco, vicino alla testa di Morosini.
Il giudice sottolinea anche che «tutti gli elementi, valutati complessivamente, consentono di ritenere che le probabilità di ripresa del ritmo cardiaco e quindi di scongiurare la morte in quel momento e con quelle modalità sarebbero quantificabili, nei primi tre minuti dal collasso, qualora fosse stato utilizzato il defibrillatore, intorno al 60/70 per cento».