di Maria Grazia Frattaruolo
È mattina. Il sole ha già fatto capolino da un po’ e io sono in viaggio a bordo di questo pullmino che tante ne ha viste da quel lontano 2009 tutto abruzzese. Siamo tutti silenziosi. Ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno fermo con la mente a ieri. Un subbuglio di emozioni confuse: compiacimento, gioia e tristezza.
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Voglio distrarmi dai miei pensieri, così guardo fuori dal finestrino. Il cielo è azzurro, qualche nuvola, ma sereno. È proprio come il cielo che guardo al mattino quando esco fuori in balcone a casa, ma non sono a casa. Sono in Grecia!
Non è la Grecia che ho sempre visto nelle cartoline degli amici, o negli spot in tv. Non ci sono spiagge affollate, né acque cristalline. Ci sono macchine di persone che vanno a lavoro, strade sterrate che conducono a fabbriche ormai chiuse. Siamo a Salonicco, una città con un centro ricco di locali affollati da turisti. Ma qui non ce ne sono. C’è solo una periferia arsa dal sole e da un vento africano.
Fermi al semaforo scorgo delle tende colorate in lontananza. Ce ne sono tante in giro qui. A volte organizzate all’interno di campi di accoglienza, come quello in cui siamo stati ieri, altre posizionate qua e là, in mezzo alla campagna, vicino a un hotel o un campeggio.
Dobbiamo fermarci. Il carburante non è sufficiente per arrivare in Macedonia. Ecco segnalato un distributore. Il pulmino rallenta, si sposta verso destra. Ma cosa succede?
Una tenda, due, tre sembrano non finire mai. L’area di servizio è interamente occupata da centinaia di tende. Allunghiamo il collo a guardar davanti, poi dai finestrini. Ci passiamo in mezzo.
Di fianco a noi gente che ci osserva, ci saluta. Qualcuno allunga il passo e ci segue fino alla pompa di benzina dove ci fermiamo.
Le storie
Scendiamo visibilmente sorpresi e forse, qualcuno anche un po’ intimorito. Subito ci si avvicina un ragazzo, parla bene l’inglese così cominciamo a conversare.
Non cerca aiuto, in senso materiale da noi. Il pulmino è visibilmente vuoto e comunque non ci chiede nemmeno del denaro. È felice però di vederci, di parlarci. Vuole raccontarci la sua storia, del campo autogestito in cui vive. Una storia unica nei dettagli ma comune a tanti altri nella sostanza.
Ci dice di essere un ex soldato iracheno costretto a fuggire e abbandonare la sua terra a causa dell’arrivo dei miliziani dell’ISIS. Ci dice che nel campo ci sono circa 2.300 persone, quasi tutte di nazionalità siriana, qualche iracheno come lui e 2 o 3 afghani. Racconta di essere stato per due mesi in Macedonia, ma poi è stato rimandato in Grecia dove ormai vive da tre mesi. Non ha abbandonato la speranza e presto proverà ancora a raggiungere un altro Paese dell’Europa. Ci dice che in quella stazione di servizio, ci sono famiglie comuni, persone che un tempo avevano una casa e un lavoro.
Ci sono medici, ingegneri, avvocati, impiegati, gente che prima conduceva una vita normale interrotta improvvisamente dalla guerra.
L’Europa rappresenta per tutti la speranza di sopravvivenza, ma il sogno, il vero desiderio di ognuno è quello di poter un giorno tornare nella propria terra libera da guerre e persecuzioni.
Ci invita a seguirlo e ci mostra i punti di ritrovo di quella cittadella improvvisata. C’è una tenda dove si sta preparando il pranzo: verdure perlopiù. Poi qualcuno ci chiama. È un “venditore” di thè, o caffè. Non distinguo. Ci invita a bere. Anche lui ha la sua storia da raccontare.
Io però sono distratta da altro: un carrello della spesa che si muove rumorosamente alle mie spalle. A ‘bordo’ 6 bambini mentre altri due faticosamente spingono. Mi notano e mi salutano, così mi avvicino a loro. La festa è immediata. Scendono tutti e mi corrono incontro. Mi abbracciano, mi parlano, io sorrido ma non comprendo. Parlano l’arabo ma anche i più piccini conoscono qualche parolina d’inglese, così, tra gesti e parole confuse, cerchiamo di conversare.
Sono tutti felici di vedermi e si stringono attorno per giocare. Poi una bimba, bellissima con i suoi riccioli corvini, allunga le braccia verso l’alto e io la prendo in braccio. Si stringe in un abbraccio profondo e mi bacia sulla guancia. Ma i baci, si sa, sono contagiosi. E così ecco che tutti si allungano per saltarmi in braccio. Prendo un altro bambino, ma gli altri mi cingono le gambe, così non mi resta che inginocchiarmi e lasciare che tutti si stringano a me in un abbraccio collettivo.
Cosa volete che vi racconti ora? La sensazione che si prova? Le emozioni che si avvertono?
Impossibile spiegare. Sono bambini che vivono in una tenda, in condizioni igieniche precarie. Hanno le piccole braccia e il volto spesso martoriati dalle punture di zanzare e tu non puoi sottrarti alla loro manifestazione di gioia nel vederti lì. Rappresenti l’idea di salvezza, la speranza di qualcosa di buono. Sulla tua divisa è stampato un emblema che rappresenta Umanità nel senso più ampio della parola.
I miei pensieri, allora, si perdono in quell’abbraccio, penso alle migliaia di bambini che, come loro, sono vittime di una guerra che non hanno voluto. Penso a cosa sono venuta a fare qui, in questa terra, a tutto il lavoro fatto per portare aiuto a questa gente sino a ieri a me sconosciuta, alle nottate spese davanti al pc, alle ore trascorse in quel caldo magazzino per fare il censimento dei materiali e penso che lo rifarei altre cento, mille volte.
Intanto, lentamente mi libero dalla presa dei bambini, ma ce n’è uno che proprio non vuol saperne. Mi abbraccia forte e si abbandona in una sequenza ritmata di baci. Mi ha conquistata!
D’un tratto qualcuno mi chiama, i colleghi della Croce Rossa Macedone ci aspettano, devo andare.
È triste e quasi straziante doversi ‘liberare’ di tutto quell’affetto ma devo.
Eccomi, sono di nuovo su questo pullmino, di nuovo immerso in un silenzio profondo.
Ripenso agli occhi di quel bambino, gli voglio già bene senza un perché, ma una domanda inquietante mi assale: dove sarà domani? Riuscirà a raggiungere la ‘terra promessa’ o forse la sua famiglia, mossa dalla disperazione, salirà a bordo di uno di quei barconi della speranza che troppo spesso portano alla morte?
Dove sarai domani? Potrei vedere in tv il tuo corpicino immobile su una spiaggia e non riconoscerti. Ecco, quando ad un certo punto di questo racconto avete cominciato a chiedervi qual è la sensazione che si prova, ebbene io posso solo dirvi che assumi la consapevolezza che quando alzerai gli occhi per guardare il cielo, anche se lo stesso di ieri, lo stesso che c’era in Grecia, lo guarderai con occhi diversi, ma resta la speranza, il coraggio e la voglia di continuare. Essere un Volontario di Croce Rossa è anche questo.
Foto: Ibrahim Malla
La missione del Comitato di Cepagatti
Con la missione #Humanity4Refugees sono stati raccolti dal Comitato Croce Rossa di Cepagatti 5 tonnellate di beni di prima necessità e prodotti per bambini, consegnati dagli stessi volontari, dal 1 al 5 giugno scorso, in Grecia e in Macedonia. In particolare, in accordo con la Croce Rossa Ellenica e Macedone, i materiali hanno raggiunto i campi di Kordelio e Diavata nel territorio di Salonicco e Gevgelija in Macedonia.
Il Presidente del Comitato di Cepagatti della Croce Rossa Italiana Constantino Camblor, in una conferenza stampa venerdì scorso nella sala Giunta dell’Amministrazione provinciale di Pescara, ha ribadito la volontà di proseguire la missione con una raccolta di fondi, utili per comprare alimenti per neonati.
Informazioni ulteriori sul progetto e il report della missione sono disponibile al link: http://www.cricepagatti.it/Humanity4Refugees.htm
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